venerdì 26 settembre 2014

Di au pair e di meteore.

Allora...è arrivata la Numero Dieci.
Allora...è ripartita la Numero Dieci!
Parrebbe la normale parabola di una qualsiasi au pair...ma attenzione! Ho l'onore di annunciarvi che siamo di fronte a un record mondiale! Un primato degno di essere omologato negli annali della storia delle host mum.
Vediamo come sono andate le cose.
Giovedì  11 settembre definisco gli ultimi accordi con la Numero Dieci, au pair inglese.
Fissiamo l'appuntamento  all'aeroporto, le fornisco il mio cellulare in caso di  emergenza , la ragguaglio sul clima italiano e la intervisto sulle sue eventuali allergie ed idiosincrasie alimentari.
Sul fronte domestico drappeggio lenzuola profumate nel suo letto, dispongo cioccolatini nella ciotolina di cristallo sul suo cassettone, lavo i pavimenti con detergente alla lavanda,  provvedo asciugamani ed accappatoio intonsi e profumati di sciacquamorbido e bagnoschiuma con plurimi aromi nel suo bagno.
Prendo accordi con mio padre perché  intrattenga la frangia più giovane (e rompiscatole) del trittico, in modo da accogliere l'attesissima au pair in un clima zen di pace e convivialità.
Il trittico, neanche eccessivamente sollecitato, prepara un bellissimo cartellone di benvenuto dove, su sfondo giallo paglierino e bordo istoriato a dinosauri, spicca in rosso il nostro più sentito welcome.
La casa trabocca di materiale didattico; il viaggio in Irlanda ci ha fruttato un metro cubo di libri, quaderni operativi, flash cards, stickers e DVD.
Insomma, mi pare di non aver trascurato niente.
Venerdì 12 settembre, alle ore undici spaccate io e Leli (la più  presentabile dei miei figli) attendiamo impazienti dinnanzi all'uscita dei voli internazionali.
Alle dodici finalmente la fanciulla esce e sorride vedendo il cartellone recante il suo nome. Ci salutiamo cordialmente, mi carico di una parte del suo bagaglio e ci appropinquiamo al parcheggio. Incredibilmente avevo trovato posto nell'area più  comoda, altrettanto incredibilmente non avevo scordato la necessaria dotazione di spiccioli per poter uscire, in tempo ragionevolmente utile, dal succitato parcheggio.
Vabbè, come il 99% delle volte mi perdo, imbocco l'uscita sbagliata dell'aeroporto e vago per le amene valli di Lanzo per un'oretta abbondante.
Direi però che, tutto sommato, la cosa possa essere rubricata sotto "aneddotica senza importanza!
Durante il viaggio illustro alla Number Ten le regole di casa nostra e fantastico di tutte le meravigliose attività che potrà intraprendere con i bimbastri.
Arriviamo a casa e veniamo travolte dai boys e dalla loro irruenza.. La vedo molto intimidita ma so che spesso il primo impatto è difficile e non ci faccio eccessivamente caso.
Dopo il pranzo la ventunenne, che dovrebbe portare decoro e conoscenze linguistiche alla nostra famiglia, si ritira nei suoi alloggiamenti e non ne riemerge più.
Alle 19.30 la chiamiamo per la cena. Sopraggiunge intanto il Pan che la saluta (per i suoi standard molto calorosamente) e le pone qualche generica domanda.
La cena è  un compendio di ciò  che i miei  tre figli possono combinare. Leli è  lagnosa, Vic più  bizzarro del solito  e JF rumorosamente insopportabile. Come tutti i plurimi genitori siamo abbruttiti ed assuefatti ma, al decimo maialesco grugnito del terzogenito, pure il Pan perde la pazienza e pianta un urlo.
Siamo alla decima au pair, quindi ormai avvezzi ad ogni sorta di esternazione, ma rimaniamo comunque di stucco, la Number Ten piange lacrime copiose, ci guarda sconsolata ed esplode in un (devo dire non immotivato) "You are so loud!
Ehm in effetti si, cara. Certo che se volevi silenzi rilassanti, imperturbabile tranquillità, quiete adamantina, pace duratura, sei capitata decisamente nel posto sbagliato.
Spossati dalla cena e dalle intemperanze di JF andiamo tutti a dormire.
Il giorno seguente decido di impegnarmi per metterla a suo agio approfittando della giornata prefestiva.  Ho visto su Facebook che, per problemi di organizzazione del viaggio, la notte precedente alla partenza non aveva dormito e quindi imputo a questa circostanza il momento di crisi.
Mi adopero quindi per un approccio soft. La porto all'ipermercato in cerca del materiale scolastico per i bimbastri in compagnia di Leli. In effetti mi pare che il rapporto tra le due stia timidamente decollando (certo non è  una grande oratrice) e mi convinco di aver fatto la scelta corretta. Dopo pranzo (e a proposito, costei non mangia carne di vitello, carne tritata di nessun tipo, frutti di mare, funghi e formaggio), invito Leli ad accompagnarla in un giro panoramico per la nostra cittadina. Rincasano dopo quassi tre ore, entrambe sorridenti, e mi persuado di aver avuto ragione nel rispettare i suoi ritmi.
Il sabato è, per inciso, anche il giorno del mio compleanno e il Pan ed io usciamo in serata, per festeggiare. Per un momento siamo anche tentati di trascinarcela dietro ma poi soprassediamo (e sarà  l'unico elemento che ci conforterà  nei giorni successivi).
Durante la cena vengo raggiunta da un messaggio di un'energica host mum (detta l'ispettor Emme per il suo indubbio acume investigativo).
La mia amica mi invita a prendere visione di un post, pubblicato da pochi minuti, sulla pagina delle host mum. Non ho un piccì  a disposizione ma mangio immediatamente la foglia e chiedo se vi sia qualche sentore che la Numero Dieci voglia darci il benservito.
La mia amica non può  che confermarmi che il sospetto è  fortissimo. In effetti arrivata a casa rilevo che un'au pair, con il medesimo nome di battesimo della mia, al suo SECONDO giorno in Italia, desidera spaziare verso nuovi lidi per manifesta incompatibilità  con la famiglia. Scrivo alla la host mum contattata e lei mi rivela che, la numero Dieci, alle ore sette della sera precedente (quindi prima di cena) aveva espresso il suo malcontento rilevando che i boys litigavano continuamente e l'host dad (l'ignaro Pan, ancora saldamente ancorato alla sua scrivania a dieci km da casa) non le rivolgeva la parola.
Ormai è  tardi quindi rimando le spiegazioni al giorno successivo. Onestamente ritengo di aver già  avuto fin troppa pazienza e, vista anche la silenziosità  della ragazza, (peccato mortale per un'au pair) penso che mi priverò  del suo apporto senza eccessivi rimpianti.
Sulla pagina delle host families intanto esplodono biasimo e solidarietà. Il giorno successivo ospiteremo a pranzo proprio l'ispettor Emme e la di lei famiglia (cinque pure loro) e un  vulcanico host dad siciliano ci invita a fare karaoke, concerti con pentole e coperchi, organizzare un partitone gigante a fazzoletto con gli infanti, dibattere con i vicini juventini del prossimo campionato, far sedere allo stesso tavolo un renziano e un grillino, ospitare nel nostro cortile un bel confronto sulla Tav,  insomma a industriarci per far definitivamente saltare i nervi alla labile inglesina.
Nonostante la delusione devo dire che l'ilarità  predomina, l'idea di aver battuto il record nella specialità "permanenza dell'au pair" mi solletica non poco.
La domenica mi alzo presto (ehm per i miei parametri) per preparare le saporite vivande che rallegreranno il nostro desco (una torta salata e bruschette, il Pan griglierà  un brontosauro) e vengo immediatamente affiancata dalla Numero Dieci.
Ecco, solo osservandola mi accorgo che ha la tipica faccia da nonno.
Qui devo fare un passo indietro. Quando un'au pair, per svariati e non sempre contestabili motivi, vuole finire anzitempo la sua esperienza, una delle scuse statisticamente più  usate è  quella della malattia o, nei casi più drastici, la morte di un congiunto. Sempre statisticamente parlando, uno dei parenti più a rischio risulta essere proprio il nonno.
L'ispettor Emme stessa ne ha avuta una che, dopo essersi presentata in lacrime piangendo la dipartita dell'avo, è stata monitorata sulla sua pagina Facebook dove risultava, invece che in gramaglie alle esequie del defunto, pimpante e reattiva in quel di Venezia. L'ispettor Emme, mamma di squisita ospitalità ma di raffinata perfidia, senza fare un plissé inviò  una commoventissima lettera di condoglianze ai genitori della disinvolta (e poco scaramantica) adolescente.
Poco da fare, la classe non è  acqua.
Dicesi quindi "faccia da nonno" quell'espressione facciale di circostanza che dovrebbe rappresentare un mix di cordoglio, sgomento e preoccupazione ma su cui, una host mum mediamente accorta, non fatica a leggere tutti i micro-segnali che indicano menzogna e paura di essere scoperti.
Mi dispongo quindi ad ascoltare il racconto della straziante agonia del vecchierello e di come le sue sofferenze potranno essere alleviate dalla presenza della  adorata nipotina al suo capezzale.
La ragazza sprizza lacrime a doccia come un cartone animato giapponese anni ottanta e comincia a dirmi, con espressione mesta,  che ha ricevuto una telefonata urgente da casa.
Mi vengono in mente le sagge parole della mia amica Lapsic: "Ogni volta che un'au pair parte alla volta dell'Italia, dall'altra parte del mondo muore un nonno".
Decido quindi di prendere in mano la situazione salvando la vita al (probabilmente) ignaro e attempato signore. Apro quindi la schermata del computer e mostro alla nostra quasi ex collaboratrice la pagina della sua iscrizione al sito di collocamento au pair  dove dettaglia molto bene la sua ricerca di una nuova famiglia. Le concedo due o tre giorni per trovare i suoi nuovi, fortunatissimi host parents e vado a finire di preparare pranzo.
All'arrivo dell'ispettor Emme un nuovo dubbio amletico scuote tutti i presenti. La quasi ex Numero Dieci va chiamata per pranzo? Ignorata?  Bisognerà lasciarle qualcosa in frigo? Mandare Leli con un piattino caldo in camera sua?
Fortunatamente ci pensa lei a toglierci dall'imbarazzo: scende con i suoi due bei valigioni e chiede che le venga immediatamente chiamato un taxi per raggiungere l'aeroporto. La accontentiamo prontamente, dopo mezz'ora la vediamo partire e possiamo scrivere la parola fine a questa breve ma intensa avventura.






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